TERZI: PER IL PCI PASSAGGIO OBBLIGATO IL RAPPORTO COL PSI

di Riccardo Terzi

In questa intervista, Riccardo Terzi, da più parti definito il “vero cervello del migliorismo milanese”, spiega il perché del suo favore alla nomina di Occhetto alla vicesegreteria – presa di posizione che, come è noto, ha suscitato, proprio per la collocazione del nostro interlocutore, parecchio stupore – e dei motivi di dissenso che lo distinguono, in questa fase del dibattito interno al PCI, dai suoi compagni della “destra ambrosiana”.

Vale ancora la pena ricordare che all’ultimo congresso, Terzi si fece promotore di due importanti emendamenti alle Tesi, in particolare sulla questione dell’alternativa e sul regime della democrazia interna. Non solo le sue proposte vennero bocciate, ma lui stesso subì una ulteriore emarginazione dal gruppo dirigente, escluso come fu perfino dalla lista dei delegati all’assise di Firenze.

Terzi nega che le sue attuali prese di posizione siano il riflesso di un desiderio di rivalsa. Egli, infatti, non sembra poter trarre vantaggi diretti da un eventuale rimescolamento del gruppo dirigente: esponente della segreteria regionale della CGIL, a norma di statuto, non può concorrere a incarichi di responsabilità diretta nel suo partito.

 

Ma allora, perché il sì a Occhetto?

«La nomina di Occhetto a vicesegretario del partito – dice Terzi – è l’avvio di un processo di rinnovamento, la cui esigenza, obiettivamente, era già presente prima del voto, e che il voto ha drammaticamente accelerato. Si tratta di vedere l’insieme del processo. Esso investe profondamente stile di lavoro, regime interno, cultura politica del partito, composizione dei gruppi dirigenti a tutti i livelli. Queste sono le ragioni politiche del mio assenso ad Occhetto, oltre da una stima personale che risale ai tempi della FGCI. Occhetto, a mio avviso, è in grado di guidare questo processo di rinnovamento, per quanto lo conosco. Anche sul piano politico non sono affatto rimasto meravigliato del suo incontro con Martelli sull’Espresso. Già in uno degli ultimi CC prima del voto, Occhetto mise al centro del suo intervento la questione della democrazia economica e politica, e, per quanto riguarda il partito, della democrazia interna».

 

Perché queste polemiche e dissociazioni, proprio da “destra”?

«Non penso che le maggioranze e le minoranze che si sono determinate al Comitato centrale, debbano considerarsi raggruppamenti politici stabili e omogenei. Credo sinceramente – afferma ancora – che la minoranza abbia scelto di impegnarsi su un terreno molto angusto, con una preoccupazione prevalente per gli assetti del vertice del partito, e senza essere capace di darsi una piattaforma politica di più ampio respiro. In queste condizioni, essa finisce per essere, al di là delle valutazioni politiche, una forza di inerzia e non una forza dinamica di rinnovamento.

Ma ora – aggiunge – è necessario che questo sforzo di rinnovamento vada avanti e che non sia bloccato da resistenze conservatrici».

 

È sempre importante che si possa discutere liberamente e, soprattutto, schierarsi senza essere massacrati. Ma il “rinnovamento” che segno politico dovrà avere? La democrazie interna è il principale masso sulla strada del cambiamento del PCI, ma lo si vorrebbe rimuovere per andare dove?

«Il problema, oggi, non è quello di scegliere tra esigenze di lotta e quelle di governo. Una contrapposizione di questi due aspetti è del tutto priva di significato. Il problema – questo per Terzi è il significato della discussione autocritica in corso – è quello di definire con chiarezza gli obiettivi fondamentali del nostro programma di trasformazione.

Il voto non smentisce l’ipotesi politica dell’alternativa, ma chiede che essa si presenti come un progetto riformatore coerente e ambizioso. Altrimenti l’immagine del partito si indebolisce e si smarrisce nella politica tortuosa della mediazione permanente. Il problema – incalza – non è andare più “a destra” o più “a sinistra”, ma alzare il tiro della proposta programmatica».

 

Massimalismo anziché compromesso?

«No. Le conclusioni del CC non sono affatto un arroccamento, un ritorno all’integralismo di partito. Dobbiamo far capire ai compagni socialisti il senso della nostra discussione. Non c’è una divaricazione tra filo-socialisti o anti-socialisti. Non è così. Credo, anzi, che sia possibile un nuovo, più fruttuoso dialogo politico, che superi un approccio di tipo diplomatico. I rapporti col PSI sono, ormai per tutti noi, un passaggio obbligato. È anche chiaro, d’altra parte, che non basta predicare l’unità per realizzarla; ci sono ostacoli politici da rimuovere».

 

Molti hanno detto che sei stato più svelto degli altri a saltare sul carro del vincitore.

«All’ultimo congresso mi sono impegnato su due temi: una più netta e limpida scelta per l’alternativa e superamento del centralismo democratico nella vita interna.

Le mie convinzioni restano le stesse. Come è identica la critica a quei settori del partito che sembrano preoccupati, oggi come ieri e anche a Milano, di rientrare comunque nel gioco politico, e per i quali la priorità del “programma” è solo l’espediente per ristabilire accordi anche con la Democrazia Cristiana. Per quanto riguardo Milano, in particolare, non credo che si possano esaltare acriticamente le virtù del “comunismo ambrosiano”; sono solo virtù del pragmatismo e della moderazione. Ma non bastano. Nello scontro politico in atto bisogna compiere più nettamente una scelta di campo».


Numero progressivo: H91
Busta: 8
Estremi cronologici: 1987, 12 luglio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Avanti!”, 12 luglio 1987