[SUL CONVEGNO DELLO SPI LOMBARDIA DI MANTOVA, 9-11 OTTOBRE]

Relazione di Riccardo Terzi decontestualizzata

Dal 9 all’11 di ottobre si è tenuto a Mantova un convegno dello SPI della Lombardia, in collaborazione con il Centro per la Riforma dello Stato, sul federalismo e lo stato sociale. Proviamo qui a riassumerne sinteticamente il significato e le principali linee di ricerca. Occorre anzitutto capire che è in atto, ormai da alcuni anni, un vasto e complesso processo di riordino delle istituzioni politiche, che ha prodotto fin qui alcuni parziali risultati e che è tuttora aperto a diversi possibili svolgimenti. L’insuccesso della Commissione Bicamerale non ha impedito di approvare una corposa riforma costituzionale all’insegna del federalismo, con una nuova distribuzione delle competenze tra lo Stato centrale e le istituzioni locali. In particolare, si allarga grandemente l’area di intervento delle Regioni, e le stesse Regioni dovranno predisporre propri autonomi Statuti, con i quali definire il modello di governo, le relazioni dell’istituzione politica con la società, e i principi fondamentali che debbono guidare l’azione legislativa e amministrativa della Regione.

Si tratta di una riforma rilevante, approvata nella precedente legislatura dalla maggioranza di centro-sinistra, e che ora dovrebbe entrare nella sua fase concreta di applicazione. Ma ora, con il cambio di governo avvenuto dopo le ultime elezioni politiche, tutto rischia di essere rimesso in discussione, sia per il ritorno in forza di logiche centralistiche che restringono l’autonomia degli enti locali (basti considerare la proposta governativa di legge finanziaria, che penalizza pesantemente il sistema delle autonomie), sia per le forzature della Lega, per la sua concezione del federalismo, non come un sistema di cooperazione tra i diversi territori e di loro responsabilizzazione nel quadro dell’unità nazionale, ma come una rottura dei vincoli di solidarietà, per cui: le regioni forti puntano ad ottenere un uso del tutto discrezionale delle loro risorse, a scapito della coesione nazionale. La cosiddetta “devolution”, nell’accezione leghista, significa infatti competenze esclusive alle Regioni in alcune materie che riguardano i diritti fondamentali di cittadinanza, dalla sanità all’istruzione, con la conseguenza quindi di rompere il quadro costituzionale unitario e di determinare una situazione di disuguaglianza non solo in via di fatto, ma anche in via di diritto. Alla cittadinanza italiana si sostituiscono diverse cittadinanze regionali, introducendo così una logica secessionistica nel corpo unitario dello Stato.

Più in generale, la linea del governo di centro-destra, essendo basata su una ideologia liberista che punta ad un mercato senza regole, entra immediatamente in conflitto con le esigenze di salvaguardia e di sviluppo dello stato sociale e produce quindi una spinta verso le disuguaglianze e verso la precarizzazione. Si scontrano quindi due diverse linee istituzionali, e non è ancora chiaro quale sarà l’esito di questa competizione. Tutto ciò ha delle fortissime implicazioni di carattere sociale, ed è quindi necessario che il movimento sindacale sviluppi su questo terreno la sua iniziativa, con una posizione attiva, comprendendo che il tema istituzionale non è un tema estraneo, da demandare agli specialisti, ma si intreccia strettamente con gli assetti sociali e con i rapporti di potere.

Il nostro obiettivo deve essere quello di impostare una riforma istituzionale che allarghi gli spazi della partecipazione democratica, e dia quindi ai soggetti sociali organizzati gli strumenti per incidere sulle scelte di governo. Il federalismo può essere, in questo senso, una democrazia allargata e partecipata, che avvicina i centri di decisione e di governo alle domande sociali, al territorio, al controllo democratico da parte dei cittadini. Occorre per questo rilanciare, ai diversi livelli di governo, la pratica della concertazione, e dovranno essere i prossimi Statuti regionali a definire un sistema di governo che si fondi sul riconoscimento del pluralismo sociale e su un metodo sistematico di confronto e di collaborazione tra istituzioni politiche e forze sociali. Il federalismo, se viene così inteso, può essere non un rischio, ma una nuova grande occasione di crescita democratica, a condizione che anche il sindacato si muova coerentemente in questa prospettiva, correggendo anche al suo interno i difetti di centralismo tuttora esistenti, e aprendo quindi con coraggio una nuova fase di sperimentazione territoriale.

Il territorio si presenta oggi come il terreno strategico decisivo, perché le linee del conflitto sociale non sono più quelle classiche dell’organizzazione fordista della grande fabbrica, ma sono diffuse, segmentate, e riguardano la collocazione del lavoratore nella vita sociale complessiva, i suoi diritti sociali, la sua possibilità o meno di sottrarsi ad un destino di esclusione e di precarizzazione. Il sindacato deve quindi rafforzare la sua confederalità, il suo radicamento nel territorio. Lo SPI è in questo senso un laboratorio sociale di straordinaria importanza.

Ma c’è un’altra dinamica, politica e istituzionale, che diviene sempre più decisiva, ed è quella che riguarda la costruzione politica della nuova Europa, con il processo di allargamento verso gli Stati dell’Est europeo, e con il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali su tutti i terreni strategici, per fare dell’Europa una potenza politica in grado di affrontare tutti i nuovi problemi della globalizzazione e del nuovo ordine mondiale. Il federalismo ha un senso progressivo se si inserisce in questa dimensione europea, se costruisce le necessarie connessioni tra il locale e il globale, se l’autogoverno dei territori locali è solo l’articolazione di una dimensione politica necessariamente più vasta. I nostri problemi si possono risolvere solo nel quadro del progetto politico europeo, e anche questo è un punto di frizione e di scontro con il federalismo di stampo leghista, contrario alla missione europea e chiuso in una miope difesa angusta di una “piccola patria” che vede i grandi processi mondiali, come quello dell’immigrazione, solo come una minaccia alla propria integrità.

Federalismo, stato sociale ed Europa sono dunque tre elementi che debbono stare uniti in un unico progetto politico, per creare un nuovo sistema di diritti democratici e di cittadinanza sociale. Il sindacato può avere un ruolo in tutto questo processo, può essere un interlocutore importante, se non si chiude in se stesso, nelle sue vecchie trincee, ma sa rimettersi in discussione e sperimentare nuove strade. Per pesare politicamente, occorre capire il senso dei processi che sono in atto, e agire dentro di essi. E occorre anche recuperare al più presto l’unità sindacale, lavorando tenacemente sui punti possibili di convergenza e costruendo un nuovo terreno di azione, che superi le più recenti divisioni e non le cristallizzi in una contrapposizione ormai strutturale e definitiva. Accade sempre che il sindacato si divide se guarda solo al passato, e ritrova slancio unitario se si concentra sul futuro. È ora il momento di costruire una nuova prospettiva, per la quale tutti siamo chiamati a riesaminare i nostri attrezzi, le nostre vecchie certezze, per fare i conti con un cambiamento sociale e istituzionale di ampie dimensioni. È questo il senso più profondo delle riflessioni e del confronto politico di Mantova: una spinta a misurarsi con il cambiamento e a ricostruire, puntando al futuro, le basi di un’azione sindacale unitaria.



Numero progressivo: D36
Busta: 4
Estremi cronologici: [2001?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -