OLTRE LA NOSTRA TRADIZIONE

Dobbiamo muoverci in uno spazio aperto a diverse risposte fuori dallo spirito di conservazione. Ovunque si annidi

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

Dopo la pubblicazione del carteggio tra Asor Rosa e i membri dimissionari del Comitato editoriale di Rinascita, sento il bisogno personale di riordinare le mie idee, e di esporle, con quel tanto di chiarezza che mi è possibile, essendo ora pregiudiziale una discussione di principio sulla linea politica della rivista, e non essendo possibile aggirare il groviglio di questioni politiche che così apertamente, e aspramente, sono state poste.

Una rivista politica riesce a essere efficace e vitale solo in quanto ha una sua precisa nervatura ed è guidata da un’ipotesi di partenza. La più ampia apertura al confronto e alla ricerca è produttiva solo se è rintracciabile un filo conduttore, che dà un senso, un’impronta determinata e riconoscibile, a tutto il lavoro. Sappiamo bene, per esperienza, che la crisi in cui è precipitata la stampa di partito, Rinascita compresa, dipendeva, appunto, dal suo non essere più uno strumento di battaglia politica. Penso anch’io, dunque, che sia necessaria una parzialità, una tendenza visibile, un nucleo di posizioni intorno al quale si organizza tutto il lavoro di ricerca.

A questa esigenza politica, che Cacciari esprime con la franchezza brutale che gli è propria, si può rispondere in modo formalmente ineccepibile, richiamando la necessità che nella fase congressuale Rinascita non sia pregiudizialmente schierata a sostegno di una delle posizioni in campo. Nulla da eccepire: si tratta di una regola elementare di correttezza. Ma basta questa risposta? O non rischiamo, così, di riprodurre quei difetti che ci hanno condotto a una progressiva perdita di ruolo, di mordente, di egemonia culturale?

La fase congressuale complica il problema, e impone una linea di prudenza, di equilibrio. Ma il “progetto” della rivista si misura su tempi politici che vanno oltre la scadenza del Congresso. E questo progetto deve ora fare i conti con la straordinaria accelerazione che tutta la vicenda politica, internazionale e italiana, ha avuto negli ultimi mesi. Se potevamo pensare a un lavoro di rielaborazione, di ricostruzione teorica, ora siamo precipitati nel mezzo di dilemmi politici stringenti e non eludibili.

In che rapporto sta il progetto di Rinascita con la svolta del PCI? Non penso a un rapporto diretto, lineare, che finirebbe per assegnare alla rivista un ruolo propagandistico e subalterno, quanto a un rapporto problematico, in quanto ci si interroga criticamente su tutte le molteplici implicazioni e sui diversi esiti possibili del processo che si è avviato.

Convivono oggi diverse e opposte letture della svolta, che si configura essenzialmente come l’inizio di un processo ancora tutto da definire nei suoi contenuti e nei suoi sbocchi.

Non è possibile allora schierarsi, prescindendo dal carattere aperto e “ambiguo” che ha tuttora la nostra prospettiva politica. Può trattarsi di un processo “classico” di socialdemocratizzazione del partito: assunzione dell’ideologia riformista, unità politica col PSI, abbandono definitivo di quell’“involucro ideologico” che ha rallentato e deviato l’evoluzione democratica del PCI. In questo caso l’operazione politica è meno dirompente di quanto non appaia, perché essa, a ben guardare, consiste semplicemente nel rendere esplicita una realtà politica che è già nei fatti operante, nel disvelare la natura del PCI, fin qui occultata da un apparato ideologico ingombrante e arcaico. Il cambiamento del nome è l’atto di rottura di per sé emblematico, e il resto viene da sé.

Può trattarsi, invece, di un processo più complesso, che pone in discussione non solo le forme ideologiche, ma anche essenzialmente le strutture della politica, il suo rapporto con la società e con gli individui, che mette in questione radicalmente tutta una tradizione, comunista e socialdemocratica, centrata sul principio del “primato della politica” e, quindi, su un modello di partito centralizzato, burocratizzato, che agisce come “coscienza esterna”. Ripensare la politica come autogoverno, e rimodellare il partito politico come struttura di movimento: a partire da questa ipotesi si può aprire un campo vastissimo di ricerca. Si può condividere quindi l’immagine del bivio che usa Massimo Cacciari. Alle certezze ideologiche, di un richiamo ormai esausto alla tradizione comunista, sia pure nella sua versione nazionale e gramsciana, o di una adesione passiva ai principi astratti di un riformismo vuoto di contenuto e di pensiero, si può opporre la ricerca, incertissima e problematica, di una cultura politica che sia radicalmente ripensata nei suoi fondamenti. E la frontiera di questa ricerca è in primissima istanza, di carattere internazionale, perché alla crisi mondiale del comunismo si può rispondere solo con una nuova capacità di riorganizzare, su scala mondiale appunto, le ragioni della sinistra.

II bivio si può allora configurare così: andare oltre la nostra tradizione politica, o più semplicemente rimuoverla. Essere in prima fila nell’analisi delle novità sconvolgenti di questa fine secolo, o approdare ai lidi tranquillizzanti di un pensiero liberal-democratico che legge nei cambiamenti solo la sterile conferma di se stesso. Il tessuto connettivo che può collegare i fili sparsi di questa nuova Rinascita può essere, a me pare, nella scelta decisa per il primo corno del dilemma, per un impegno di ricerca che rifiuta lo spirito di conservazione. È questo uno spazio politico aperto a diverse risposte, e che non può ridursi agli attuali schieramenti congressuali, i quali, tutti, non potranno che essere profondamente sconvolti man mano che procederemo, con rigore, nella costituzione di una nuova teoria e di una nuova strategia politica.


Numero progressivo: H122
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 4 marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 4, 4 marzo 1990, p. 61