LO SPI: CONFEDERAZIONE NELLA CONFEDERAZIONE

Dichiarazione di intenti

di Riccardo Terzi, nuovo Segretario generale dello SPI Lombardia

Lo Statuto della CGIL prescrive che un candidato alla carica di segretario generale di una struttura presenti una propria dichiarazione programmatica. Io vorrei che si evitasse una interpretazione di questa norma in senso presidenzialista, perché penso che una grande organizzazione complessa, come la nostra, ha bisogno non di una direzione personale, ma di una direzione politica. Non è il segretario generale che fa il programma, il quale deve risultare da un confronto politico allargato e dal corretto funzionamento democratico degli organismi dirigenti. Questo mio intervento ha quindi solo il significato di una “dichiarazione di intenti”, e può servire come una prima base di discussione per il nostro lavoro.

 

Un metodo di direzione

Voglio in primo luogo affrontare il problema del “metodo di direzione”. Noi abbiamo bisogno di attivare tutte le nostre risorse, di valorizzare il pluralismo interno delle idee, delle esperienze, delle sensibilità, delle culture, traducendo concretamente nella prassi di governo il principio che afferma il pluralismo come una ricchezza.

Questo metodo può funzionare se c’è da parte di tutti una disponibilità aperta, se le posizioni non si cristallizzano, se non ci lasciamo guidare dalle logiche di corrente o di gruppo. In questo quadro va salvaguardata la libertà personale di ciascuno e va perseguita sempre una linea di confronto e di ricerca unitaria. Io intendo attenermi rigorosamente a questa concezione della nostra vita interna, e quindi il mio obiettivo è quello di costruire tutte le condizioni per un libero pluralismo e per una comune assunzione di responsabilità. Ciò vale nelle relazioni interne alla nostra struttura regionale, come nei rapporti con le altre strutture, dello SPI e della CGIL, a partire anzitutto dal gruppo dirigente nazionale dello SPI, con cui dobbiamo costruire sistematicamente una relazione fondata sul confronto e sulla collaborazione.

Se si sono determinare tensioni e difficoltà, nel funzionamento complessivo di queste relazioni, dobbiamo lavorare per scioglierle. Dobbiamo trovare la giusta misura, la giusta dimensione, nell’esercizio del confronto interno tra diverse posizioni, il quale viene spesso rappresentato come “lotta politica”, come battaglia, modellando ancora una volta il linguaggio politico sul linguaggio militare. Io penso che sia ora di smilitarizzare il nostro modo di pensare, a cominciare dall’ambito delle nostre relazioni interne. Per quanto mi riguarda, rivendico la mia qualifica di RAM, che significa “Ridotte Attitudini Militari”. Smilitarizzare il pensiero non vuol dire tenere basso il livello del confronto, o incoraggiare atteggiamenti di conformismo, ma significa portare il nostro dibattito sul terreno delle idee, nella consapevolezza del carattere sempre aperto, mai conclusivo, delle nostre elaborazioni. Si tratta insomma di capire che il mondo del pensiero, anche del pensiero politico, non ha le stesse regole del mondo delle armi, e che è possibile, secondo la massima di Sun Tzu, «vincere senza combattere».

La direzione politica non è il comando, la trasmissione gerarchica dall’alto verso il basso, ma è la costruzione di un processo collettivo e democratico, di una sintesi che tenga conto della complessità della situazione e della pluralità dei possibili punti di osservazione. Questo significa anche che il nostro problema non è quello di fare sterzate a destra o a sinistra, ma è piuttosto quello di alzare il livello dell’elaborazione e dell’iniziativa, in modo da rappresentare un punto di vista più complessivo.

 

Libertà e responsabilità politica

Per quanto riguarda gli indirizzi politici dello SPI regionale, le sue fondamentali linee di azione, mi sembra chiaro che noi dovremo lavorare sulla base di una esperienza già consolidata, utilizzando tutte le risorse di una struttura organizzativa solida, ramificata, radicata nel territorio. A chi si domanda se, con il cambio di direzione, ci si deve attendere continuità o discontinuità, io risponderei che questa domanda, così formulata, ha poco senso, perché ci sarà necessariamente, come sempre, sia l’una che l’altra. Quello che posso dire è che condivido pienamente le grandi direttrici politiche sulle quali si è mosso, con la direzione di Rampi, lo SPI della Lombardia.

Con Franco Rampi ho un forte rapporto personale, di amicizia e di stima, un rapporto che è saldo anche perché ciascuno sa, rispettare, quando si presenti, la diversità delle opinioni. Io sono molto grato a Franco di avermi voluto portare nel gruppo dirigente dello SPI e di aver sostenuto lo mia candidatura, e considero importante che, in forme diverse e senza nessuna confusione dei ruoli, lo SPI della Lombardia possa ancora avvalersi del suo contributo e mantenerlo a pieno titolo nel suo gruppo dirigente. Io mi assumo, in questo senso, un impegno personale, e penso che anche il gruppo dirigente nazionale debba contribuire a chiudere lo stagione delle tensioni e dei sospetti.

La mia candidatura, che viene proposta dalla segreteria nazionale dello SPI, non ha e non vuole avere un carattere di parte. So dell’esistenza di riserve e di preoccupazioni, per la mia diretta partecipazione all’iniziativa politica che si è tradotta nel “documento dei quarantanove”. Ma questo, della libera espressione delle proprie opinioni, in forma individuale o collettiva, è un diritto inalienabile di ciascuno di noi.

Questa iniziativa ha voluto solo aprire una discussione, senza determinare nuove aggregazioni organizzative, e penso che discutere liberamente possa solo far bene alla CGIL; e nel corso della discussione stanno via via maturando nuovi approfondimenti e chiarimenti, che possono determinare una più larga convergenza. Se ci confrontiamo seriamente, nessuno resta inchiodato alle posizioni di partenza, e tutti siamo messi in grado di assumere posizioni più mature e meditate. In ogni caso, ho ben chiaro che l’esercizio di una funzione dirigente richiede una posizione di equilibrio, per poter rappresentare tutto il pluralismo dell’organizzazione. Dobbiamo garantire, insieme, sia la più larga libertà di discussione, sia lo forzo di coesione della CGIL, alla quale ciascuno di noi deve responsabilmente contribuire. Libertà e responsabilità sono i due criteri che debbono sempre essere integrati in una pratica di governo democratico dell’organizzazione.

 

Lo SPI: confederazione nella confederazione

Si tratta ora, sulla base di questi criteri generali, di inquadrare lo specificità dello SPI. Il problema dello SPI è quello di essere una confederazione nella confederazione. Tutti i temi che noi affrontiamo (le politiche sociali, il welfare, la negoziazione territoriale) si incrociano immediatamente con la politica confederale della CGIL. È quindi indispensabile mettere a punto un sistema di forte integrazione tra la CGIL e lo SPI. Noi rivendichiamo con forza, come abbiamo fatto anche all’assemblea nazionale di Bellaria, la nostra confederalità, il nostro essere un sindacato che contratta su tutti i temi che si riferiscono alla condizione sociale degli anziani, rifiutando di restare confinati in una funzione solo di servizio. Noi siamo una rete organizzata sul territorio, che può rappresentare per la CGIL e per le sue politiche un punto di forza, uno strumento prezioso di mobilitazione, di orientamento, di iniziativa politica. A tutti i livelli, quindi, ci deve essere tra lo SPI e la CGIL una collaborazione assai stretta, per agire insieme e per far vivere, nell’azione pratica, un comune progetto sociale, un progetto condiviso perché è il frutto di una elaborazione collettiva.

Ma l’originalità della dimensione dello SPI ha una portata anche più ampia, perché noi rappresentiamo un largo segmento sociale, quello degli anziani, che non si definisce solo nei termini della rivendicazione economica, ma contiene più complesse implicazioni, essendo in gioco una condizione esistenziale, una condizione di vita, essendo in gioco quindi tutto il sistema delle relazioni umane e sociali. Io credo che una delle ragioni di fondo della forza espansiva dello SPI stia proprio nel fatto che noi cerchiamo di rappresentare questa condizione esistenziale e di rispondere alle sue molteplici domande, che ci rivolgiamo alla persona anziana nella totalità delle sue espressioni, con un progetto che non è solo strettamente sindacale, ma anche culturale, relazionale, politico.

Forse qualcosa di analogo andrebbe pensato anche per l’universo giovanile, perché anche qui l’aspetto economico deve essere integrato in una visione più larga della condizione sociale complessiva. La nostra, quindi, è un’esperienza del tutto originale, che forza i limiti della rappresentanza sindacale e si apre ad una dimensione più ampia. È a questa tematica complessiva che allude la formula dell’invecchiamento attivo. Essa però coglie solo un aspetto, importante ma non esclusivo, e la stessa domanda di attività si inscrive in una più generale domanda di comunità, di relazioni, di solidarietà. Il nostro tema quindi è la costruzione di una nuova socialità, che sappia arginare i processi di frantumazione e di atomizzazione individualistica.

A Bellaria ho parlato dello SPI come del “luogo della memoria”, in cui è depositata una lunga storia di lotte sociali e di esperienze di vita, aggiungendo anche, con un filo di utopia, che lo memoria può divenire saggezza, lungimiranza, visione larga dei problemi della vita. È su questa lunghezza d’onda che dobbiamo muoverci, coltivando questa nostra peculiarità, questo nostro essere un grande “sindacato di popolo”, che cerca di rispondere a tutto l’arco delle domande sociali, culturali, relazionali, per costruire una più ricca qualità della vita.

 

Dopo lo sciopero del 24 ottobre

Questo non deve essere un discorso astrattamente culturale, ma deve misurarsi con l’emergenza politica, con il duro scontro sociale e istituzionale che è stato aperto dal governo di centro-destra. Non ho certo bisogno, in questa sede, di ripetere le nostre valutazioni e le nostre ragioni, che sono state alla base della grande mobilitazione in occasione dello sciopero generale del 24 ottobre. Lo SPI è in prima fila in questa battaglia, e deve prepararsi ad una campagna di lunga durata, fino a quando non saremo in grado di conseguire dei risultati concreti e significativi.

Lo scontro politico si incentra su tutte le tematiche del welfare, e per questo noi ci troviamo oggi in una posizione strategica e siamo chiamati ad una nuova e più alta responsabilità. Dobbiamo vedere almeno tre piani di azione, tra loro integrati. Il primo è quello della mobilitazione di massa contro le proposte dell’attuale governo. È un compito difficile, ma del tutto chiaro ed evidente.

Il blocco sociale della destra sta entrando in una fase di sofferenza, perché in breve tempo siamo passati dagli annunci fantasiosi di un nuovo “miracolo economico” ad una realtà di crisi, di declino e di sacrifici. Non ci troviamo quindi a fronteggiare un blocco compatto, ma possiamo agire dentro un processo politico ricco di contraddizioni, ed è possibile spostare i rapporti di forza e determinare nuovi equilibri. Anche sul terreno più strettamente politico la situazione è in movimento. E quindi una grande lotta sociale unitaria nel paese, condotta con intelligente determinazione, può aprirsi un varco politico e riaprire, su nuove basi, tutto il negoziato con il governo sulle politiche sociali.

Il secondo terreno di iniziativa è quello territoriale, rilanciando tutta l’esperienza della negoziazione sociale a livello regionale e locale. Le politiche di welfare hanno sempre più bisogno di essere articolate sul territorio, sia per rispondere più efficacemente alle domande sociali concrete e differenziate delle diverse comunità, sia per attivare tutta la rete delle organizzazioni sociali e del volontariato. E in questo quadro può svolgere una funzione rilevantissima, nella sua autonomia, un’associazione come l’Auser.

In questa dimensione territoriale, noi dobbiamo sostenere con coerenza le ragioni dell’autonomia locale, e denunciare con forza il fatto che, nonostante tutta la retorica federalista, il governo delle destre, con la complicità della Lega, sta centralizzando poteri e risorse e sta soffocando il sistema delle autonomie.

Si può, su questo terreno, costruire una larga alleanza tra il sindacato, le associazioni, gli enti locali, le forze autonomiste e federaliste. Il welfare locale può essere quindi il campo di una nuova progettazione politica, e su questo dovremo concentrare il nostro lavoro.

Infine, io ritengo necessario un più organico lavoro di elaborazione programmatica su tutti i temi della riforma del welfare, inquadrando in questa prospettiva anche il problema del sistema previdenziale. Sia chiaro: non si tratta affatto di renderci disponibili ad una politica di tagli della spesa sociale, di ridimensionamento del sistema di garanzie e di protezioni, ma al contrario di prospettare un welfare che meglio risponda all’attuale mercato del lavoro e alle nuove forme di precarietà e di esclusione sociale. Anche il sistema pensionistico ha bisogno di interventi correttivi. Cito solo, in sintesi, i problemi che mi sembrano essere aperti e non risolti: le prospettive e le garanzie da offrire a tutta la vasta area del lavoro flessibile e discontinuo, il chiarimento sul ruolo della previdenza integrativa, a cui è stata affidata con una valutazione troppo ottimistica la funzione di “secondo pilastro” del sistema, la regolazione flessibile dell’uscita dal lavoro, la determinazione di particolari tutele e diritti per i lavori nocivi e usuranti, la difesa del potere di acquisto reale delle pensioni, la piena armonizzazione del sistema contributivo e dei criteri di calcolo delle pensioni per tutte le categorie sociali, lavoro autonomo compreso, la discussione sugli enti previdenziali, sul loro assetto, sulla possibilità di una loro unificazione. Su tutto questo dobbiamo definire una nostra più precisa piattaforma, confrontandoci ovviamente anche con le organizzazioni della CISL e della UIL. Non mi convincerebbe una linea solo di resistenza, di difesa della riforma Dini, senza affrontare i punti di criticità che essa contiene. Mi pare giunto il momento di un lavoro di progettazione, per parlare al paese con una nostra proposta organica, forte di una sua interna coerenza, sul tema della previdenza come sull’insieme delle politiche sociali.

 

Unità sindacale e autonomia

Su ciascuno di questi terreni di iniziativa potremo fare degli avanzamenti se riusciamo a tenere il fronte unitario. L’unità sindacale non è una variabile secondaria, ma è la condizione principale da cui dipende il successo della nostra iniziativa. E oggi, di fronte ad una offensiva conservatrice che intacca i principi di fondo dello stato sociale, le condizioni dell’unità sono alla nostra portata, perché c’è una convergenza obiettiva e una necessità comune, essendo chiaro a tutti che saremo sconfitti se procediamo in ordine sparso. Sono queste verità semplici, elementari, sulle quali sarebbe davvero bizzarro costruire artificiose divisioni tra di noi.

Noi dobbiamo essere in prima fila nella battaglia per l’unità, sapendo che non tutto dipende da noi, non tutto è nelle nostre mani. Come ci ha insegnato Machiavelli, il corso delle cose umane è affidato in parte alla virtù e in parte alla fortuna. Ma se ci occupiamo seriamente di tutto ciò che dipende da noi, dalla virtù della nostra azione politica, abbiamo già fatto un passo importante. Occorre togliere di mezzo il grande equivoco, che ha attraversato troppo a lungo il nostro dibattito interno, con il quale vengono messe in contrapposizione le ragioni dell’unità e le ragioni della CGIL, un equivoco che genera settarismi e diffidenze. Se quando si parla di unità si fanno mille distinguo, e si ripete all’infinito che l’unità si fa sui contenuti, sulla coerenza del merito, e c’è sempre, più o meno manifesto, il sospetto di un cedimento, di uno slittamento opportunistico, allora ciò significa soltanto che noi abbiamo una situazione interna malsana, che tutto viene usato strumentalmente ai fini di quella malintesa “battaglia politica” che ci deve sempre vedere armati l’uno contro l’altro. Questo è il frutto di un processo degenerativo, che dobbiamo spezzare.

Il nostro programma, il programma della CGIL, è l’unità del mondo del lavoro, lo è già nel suo atto costitutivo, come risulta chiaro nelle parole e nell’opera di Giuseppe Di Vittorio. Sfido chiunque a dimostrare il contrario.

E l’unità si costruisce nell’autonomia, nella chiara distinzione di compiti tra il sindacato e il partito politico. Il nostro obiettivo è quello di fare “rappresentanza sociale”, al di là degli schieramenti politici e delle ideologie, e questo dato di fondo ha un valore costitutivo per il sindacato e non dipende dalle congiunture e dalle convenienze politiche, o dai sistemi elettorali, o dai diversi progetti di riorganizzazione del nostro sistema bipolare. La politica deciderà, in autonomia, le sue forme, i suoi progetti. Noi, in ogni caso, non ne saremo il braccio operativo, non ci faremo dirigere da logiche esterne. Anche la nostra unità interna si regge su questa distinzione, in virtù della quale non contano le appartenenze politiche, ma conta ciò che ciascuno sa fare. Così almeno dovrebbe essere, e quando questa regola viene disattesa si creano distorsioni nel nostro processo democratico. L’autonomia sociale è l’aria che ci fa respirare, che ci fa essere una grande forza sociale nel paese, che pesa per il suo ruolo oggettivo e che nessuno può manovrare dall’esterno. Che tutto ciò non si debba tradurre in una posizione di indifferenza politica è per me del tutto ovvio, perché è politica la mia formazione e la mia storia, come quella di molti di voi. Ma proprio in questa storia politica è giunto a maturazione il pieno riconoscimento dell’autonomia delle forze sociali, e non possiamo permetterei, su questo punto decisivo, nessun passo indietro. Io sarò attentissimo, se mi affiderete la direzione dello SPI regionale, a salvaguardare questa linea di autonomia, da cui dipende il nostro ruolo e la nostra forza rappresentativa nella società.

 

Le peculiarità della Lombardia

Noi operiamo, qui in Lombardia, in una situazione di particolare difficoltà, sia perché ci troviamo nell’epicentro politico della destra, nel luogo di incubazione sia della Lega sia di Forza Italia, sia perché siamo nel cuore delle trasformazioni sociali che hanno sconvolto le vecchie identità e hanno destrutturato il mondo del lavoro, le sue forme tradizionali, ponendo all’intero movimento sindacale problemi del tutto inediti, sia organizzativi, sia contrattuali e rivendicativi. In più, ci dobbiamo confrontare con un interlocutore istituzionale, la giunta regionale di Formigoni, che ha costruito in questi anni un sistema di potere assai solido e che si muove con grande spregiudicatezza su diversi terreni, anche con una proiezione di carattere internazionale. Sarebbe di grande utilità fare un bilancio politico complessivo di lutti i mutamenti che hanno attraversato in questi anni la nostra realtà regionale, e penso che la CGIL della Lombardia debba farsi carico di questo problema, chiamando anche la nostra struttura ad un confronto e ad una analisi più approfondita. Ma non intendo entrare ora in questo campo, perché non è un tema che possiamo trattare sommariamente. Voglio solo sottolineare il rilievo strategico che assume il problema della Lombardia, e la necessità che abbiamo di attrezzarci per un confronto politico e progettuale di livello alto, così da intervenire su tutti i terreni decisivi con una nostra autonoma capacità di proposta. Non possiamo limitarci al piccolo cabotaggio o all’agitazione propagandistico, ma dobbiamo costruire uno strategia politica, vedendo bene le forze in campo, la vitalità dei soggetti sociali e delle culture politiche, con la necessaria attenzione alle dinamiche interne al mondo cattolico, le alleanze da costruire, i punti di attacco su cui concentrare la nostra iniziativa. E anche qui sono i temi dello stato sociale e della sua qualità ad essere al centro dell’agenda politica e a determinare gli orientamenti di fondo dell’opinione pubblica. Basti citare il tema dell’immigrazione, con tutte le sue complesse implicazioni politiche e culturali. Lo SPI agisce in questo contesto politico generale, e la sua iniziativa, insieme con la CGIL, si colloca dentro un progetto complessivo, andando oltre la dimensione corporativa. È già questo oggi lo spirito che anima il nostro lavoro. Si tratta quindi solo di affinarlo e di renderlo più consapevole.

 

Una grande forza organizzativa

L’ultima considerazione riguarda la nostra forza organizzativa, le grandi potenzialità che essa esprime, la grande occasione che abbiamo di dar vita ad una esperienza di partecipazione democratica di massa. Mentre la democrazia politica si sta atrofizzando, e sembra prevalere il modello mediatico, il salotto televisivo di cui siamo solo spettatori passivi, noi possiamo fare l’operazione inversa, e scommettere sulla democrazia partecipata.

Tutti i nostri problemi organizzativi, che dovremo più attentamente esaminare, dobbiamo vederli in questa prospettiva, puntando sulla partecipazione attiva, su una vera circolazione democratica, sulla vitalità delle leghe, su una rete informativa che responsabilizzi i nostri iscritti, su un modello organizzativo, quindi, che contrasti le tendenze alla burocratizzazione e al verticismo.

Tralascio altri temi, pur importanti. Queste considerazioni possono essere sufficienti per tracciare una linea di lavoro e per darvi qualche elemento di valutazione. In ogni caso, su questi temi dovremo tornare e dovremo discuterli più ampiamente, con il contributo di tutti. Io posso fare solo quella piccola parte che dipende da me. Ma per fortuna abbiamo alle spalle una grande organizzazione di massa.

Riccardo Terzi è stato eletto segretario generale dello SPI lombardo durante il Comitato direttivo del 3 novembre scorso. Su 99 aventi diritto i votanti sono stati 87. Terzi ha raccolto 69 voti a favore (79,31 %); 7 contrari (8%); 9 astenuti (10%) e 2 schede bianche (2,29%). Nato a Bergamo, Terzi è stato segretario provinciale del PCI dal 1975 al 1981 per entrare in CGIL nell’83. Segretario generale della CGIL Lombardia dal 1988 al 1994 si è poi occupato di politiche costituzionali per la CGIL nazionale. È entrato nella segreteria dello SPI Lombardia nel marzo del 2003. Riccardo Terzi subentra a Francesco Rampi, proposto dalla CGIL nazionale come rappresentante dei lavoratori nel Comitato di indirizzo e vigilanza dell’Inps (Civ).



Numero progressivo: E40
Busta: 5
Estremi cronologici: 2003, 3 novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Pubblicazione: “Nuovi Argomenti SPI Lombardia”, dicembre 2003, pp. 5-9. Ripubblicato in “Riccardo Terzi, un pensiero innovatore”, pp. 17-29