IL RISCHIO DI STAR DIETRO AI FANATISMI

Lo stallo nel PCI: quali le vie per rimuoverlo e prepararci alle battaglie che ci attendono

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

Non c’è stata pausa estiva, quest’anno. C’è stata anzi una precipitazione dei processi politici.

La prova di forza, o meglio di prepotenza, che il governo ha voluto consumare a proposito della legge sull’emittenza televisiva, la profondissima rottura politica nella Democrazia cristiana, la normalizzazione conservatrice di Palermo, l’inquietante caso Orfei, il clima politico che si sta creando intorno alle vicende drammatiche del Golfo Persico, è un insieme di fatti che determina un nuovo quadro politico, con una più marcata e sfacciata tendenza all’instaurazione di un “regime” che non basta definire conservatore, perché ha assunto ormai caratteri pericolosi di aggressività e di intolleranza.

Se mettiamo insieme tutti i pezzi del mosaico, senza dimenticare la sentenza di Bologna, e Ustica, e l’impunità dei poteri mafiosi, ne esce un quadro allarmante. Il perno di tutta questa situazione è il “grande centro” doroteo-andreottiano, che sembra aver ripreso in mano tutte le leve decisive di comando.

Il PSI, che pure ha un grande peso negli equilibri politici e di potere, non agisce come forza di condizionamento, come contrappeso, ma è parte dell’operazione.

Registriamo il fatto senza tirarne conclusioni definitive sul ruolo e sulla natura del PSI. Ma il fatto esiste, e davvero non è possibile prescinderne, se si vuol fare una politica realistica.

Ora, di fronte a una tale evoluzione della situazione politica ci si poteva attendere dal PCI e dal suo gruppo dirigente una chiara presa di coscienza del proprio ruolo come essenziale forza di opposizione, una consapevolezza quindi delle grandi risorse che possono essere attivate e mobilitate, pur in una situazione di difficoltà e di travaglio.

Non si tratta certo di bloccare la ricerca più spregiudicata e aperta, ma di contenere le tendenze centrifughe e disgreganti che hanno operato nei mesi passati, di agire come una forza politica capace di scommettere sul proprio futuro.

Sta accadendo il contrario. E in questa sempre più convulsa lotta interna, condotta ormai senza regole e senza quel minimo di disciplina che è indispensabile per una grande organizzazione di massa, è difficile rintracciare una logica, una ragione politica plausibile.

Disciplina? Vogliamo forse tornare alle vecchie regole di un monolitismo autoritario di cui ci siamo finalmente sbarazzati? E tuttavia, ripeto, una grande organizzazione finisce per dissolversi se non sono limpide e rispettate alcune regole fondamentali.

Sotto questo profilo, la vicenda del dibattito parlamentare e del voto sulle questioni di politica estera e di politica militare oggi sul tappeto è un segnale del tutto negativo, distruttivo, in quando dà corpo ai pericoli di scissione. Una brutta pagina, da archiviare, se è possibile.

Ma il fatto a mio avviso più sorprendente è che il gruppo dirigente del PCI sta rischiando la spaccatura più traumatica intorno a un quesito che è politicamente inesistente.

Il quesito è: sì o no all’unità socialista, o a qualsiasi altra formula si voglia usare per indicare una prospettiva a breve di convergenza strategica con il PSI.

L’ala del partito che si vanta delle sue presunte doti di “realismo politico” scommette le sue carte su un’ipotesi che non ha, allo stato attuale, il minimo fondamento. E d’altra parte c’è chi vede già realizzata o incombente una “deriva di destra”, già in corso i preparativi per l’alleanza con Craxi, dimostrando così la medesima mancanza di senso della realtà. Queste due posizioni, tra loro speculari, stanno avvelenando la vita interna del partito, per cui alla discussione ragionata si sostituisce il sospetto, alla lotta politica l’apriorismo di un atto di fede. Non c’è solo la forza d’inerzia degli antichi dogmi, ma anche la nuova arroganza di una ideologia “riformista” che ha già le risposte pronte per tutti gli interrogativi e che non ammette deviazioni, non ammette una linea di ricerca più problematica. La parola d’ordine è: nessun pasticcio, nessuna mediazione, nessun “doroteismo”. Se si usa la parola “antagonismo” è una concessione a Ingrao, se si tenta di riannodare la trama di una ricerca comune e unitaria è un arretramento rispetto alle conclusioni di Bologna. Ecco allora il fuoco di sbarramento che ha accolto il documento programmatico presentato da Bassolino, senza neppure misurarsi con le analisi e con le proposte in esso contenute. Ma si vuole un programma, che ridefinisca l’identità politica del partito, o solo un lasciapassare per il governo?

La situazione è grave. Chi ha senso di responsabilità lo deve usare, con il massimo di energia, per bloccare la spirale scissionistica e per impedire una dispersione della nostra forza. Se si fa sentire con più decisione e autorevolezza un centro politico capace di governare il partito, di dirigerlo, di attrezzarlo per le prossime non facili battaglie politiche, io credo che una larga base di consenso possa essere attivata. Un partito riformatore e antagonista, come giustamente lo si definisce nella bozza programmatica. Ed è realismo politico capire che nell’Italia di oggi non si costruisce nessuna prospettiva riformista se non c’è forza capace oggi, con durezza, di dare battaglia, di dare basi di massa, motivazioni ideali, e capacità di durata alla lotta di opposizione. Il resto è illusione.



Numero progressivo: H111
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 9 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 30, 9 settembre 1990, p. 15