ESSERE COMUNQUE COMUNISTI

di Riccardo Terzi

La pubblicazione dell’inserto sul convegno di Ariccia aveva, se ho ben inteso, non solo un valore di documentazione, ma anche di stimolo perché il dibattito si sviluppi ulteriormente, nelle sedi della FGCI e del Partito. E credo che sia dà auspicare una discussione approfondita ed aperta, che sappia smuovere le inerzie, e sgombrare il campo dagli elementi di equivoco e di incertezza. Voglio dire subito che non tutto è chiaro nelle proposte formulate al convegno, soprattutto per quanto si riferisce al problema del rinnovamento della FGCI e al suo modo di attuazione. Questa insufficiente chiarezza ha già provocato nell’organizzazione qualche allarmismo, nel senso che da qualcuno la proposta del convegno è stata intesa come una proposta di scioglimento della FGIC, come un modo elegante di liquidare l’attuale organizzazione giovanile. E, in effetti, non risulta evidente se si tratti di un rinnovamento della FGCI, nel suo metodo di lavoro e nei suoi strumenti, o invece della sua sostituzione con un’organizzazione diversa, nella quale viene meno il carattere di partito, e cioè l’impronta comunista, e si realizza l’unità di tutte le forze rivoluzionarie disponibili. Qualunque sia la valutazione nel merito di questo problema, è evidente che non si può restare nell’ambiguità, ma bisogna compiere una scelta precisa.

Io credo che nessuno metta in dubbio la necessità di un adeguamento della FGCI, di una sua trasformazione, che le consenta di recuperare rapidamente la funzione di guida del movimento giovanile. Nessuno, infatti, può accontentarsi dei traguardi che già sono stati raggiunti, e sarebbe grave miopia il non vedere quanta distanza ancora esiste fra la nostra organizzazione giovanile, come è oggi, e l’obiettivo sempre perseguito della creazione di un vasto movimento di massa.

Ma, nello stesso tempo, non possiamo dare dell’esperienza passata della FGCI un giudizio troppo sommariamente liquidatorio o troppo schematico. Quando i compagni dirigenti della FGCI sostengono che, nell’attuale organizzazione si produce l’assurdo di dover aderire ad una linea prima ancora di conoscerla, mi sembra che essi facciano torto a se stessi. Perché, fra i vari difetti della FGCI, non le può essere certo attribuito quello del conformismo, della disciplina cieca. Mi pare, al contrario, che l’esperienza politica di tutto il gruppo dirigente della FGCI, almeno dal Congresso di Bari, sia stata proprio caratterizzata dall’ampiezza della ricerca, dallo sforzo di fornire al Partito un contributo non solo attivistico. La FGCI non ha sofferto in questi anni di frustrazioni politiche, e l’accusa di burocratismo le viene rivolta da chi non è in grado di concepire neppure i principi più elementari dell’organizzazione politica, o da chi dietro questa accusa sottintende un dissenso politico più generale.

Ma poi, questa esigenza di libera elaborazione della linea, a guardar bene, vale anche per il Partito stesso. Un partito che si riducesse a trasmettere di generazione in generazione un suo immutabile patrimonio, un partito che chiedesse ai suoi militanti soltanto l’accettazione di una linea già elaborata, sarebbe un organismo mummificato ed incapace di risvegliare alla lotta politica nuove forze sociali.

E allora il problema non può essere racchiuso entro un orizzonte soltanto giovanile, ma è un problema più generale, di adeguamento e rinnovamento del Partito, perché siano spezzate tutte le tendenze all’inerzia e tutte le pigrizie dogmatiche. La milizia politica non è mai un atto di fede, né per il Partito né per la FGCI, ma è un’azione ideale e pratica sempre aperta alla verifica dei suoi presupposti e delle sue motivazioni.

Sotto questo profilo, non c’è differenza di sostanza fra il Partito e l’organizzazione giovanile: vi è, per entrambi, lo stesso problema, del corretto funzionamento della democrazia interna, dello snellimento dei processi deliberativi, della sempre più larga partecipazione dei singoli militanti a tutta la vita dell’organizzazione. Non voglio qui entrare nel merito di questi problemi, voglio soltanto dire che essi, a mio giudizio, non mettono in questione il centralismo democratico (che, nella concezione di Gramsci, si contrappone al centralismo “organico”, ovvero burocratico e autoritario), ma certamente richiedono un riesame del suo modo di realizzarsi, della sua applicazione.

Lo stesso ragionamento vale per l’esigenza di sperimentazione. È anche questo un problema non estraneo al Partito, non specificamente giovanile. Guai se il Partito non avesse la forza di sperimentare nuove forme di azione, guai se si dovesse cristallizzare in una ripetizione meccanica di cose già fatte, di forme di azione già da tempo collaudate.

Ecco, allora, qual è il pericolo che affiora nell’impostazione del Convegno: il pericolo di una nuova forma di giovanilismo, di uno sperimentalismo giovanile rinnovatore solo in superficie, ma in realtà chiuso in se stesso ed incapace di allargarsi in una ricerca più ampia intorno alle forme di organizzazione di tutto il movimento di classe. Ma, forse, si tratta solo di un’impressione. Credo comunque che sia bene mettere in chiaro questo aspetto del problema, e cioè sottolineare che è oggi sul tappeto non solo la questione della FGCI, e della sua funzione, ma anche la questione del Partito, del suo rinnovamento, che non può essere inteso solo come ringiovanimento anagrafico.

Nella FGCI, certo, il problema è più acuto ed immediato, può richiedere delle misure più coraggiose, ma nella sostanza si tratta di un’unica questione, e cioè del tipo di organizzazione che meglio può oggi adempiere ad un ruolo rivoluzionario. Alla luce dei fatti nuovi, e ricavando tutti gli insegnamenti dalla esperienza delle lotte, il Partito dovrà affrontare, a breve scadenza, molti problemi relativi al suo funzionamento interno e al suo metodo di lavoro, per non rischiare di lasciare inutilizzate delle energie preziose o di lasciare inesplorate delle forme nuove di azione. Ma, detto questo, resta aperta la questione di fondo, a cui accennavo all’inizio. E cioè, dobbiamo lavorare per rinnovare profondamente la FGCI, per costruire un’organizzazione giovanile comunista aperta al nuovo e coraggiosa nella sua azione di lotta, o invece si deve porre il problema di una nuova organizzazione, che faccia riferimento ad un arco di forze politiche più ampio; È un interrogativo che non ammette una risposta astratta, di principio. Si richiede invece una ricognizione attenta delle forze in campo, della loro consistenza, del loro orientamento. Certamente c’è stata una crescita di nuove forze giovanili, sia in forma organizzata sia come tendenza ancora informe sia nelle esperienze di lotta sia nel determinarsi di nuovi stati d’animo. Ma tutto questo è sufficiente per lanciare la parola d’ordine di una organizzazione giovanile unitaria e rivoluzionaria? A me pare, francamente, di no. Questa crescita di forze giovanili è oggi ancora troppo indeterminata, imprecisa nei suoi sbocchi politici, perché se ne possa fin d’ora trarre una conclusione sul terreno organizzativo. E, in fondo, l’unico esempio concreto che si riesce a portare è quello del movimento studentesco, che è certo molto, ma non è sufficiente. Le esperienze studentesche non possono essere giudicate come rappresentative di tutto il mondo giovanile; e sarebbe strano che la FGCI, che ha lavorato in questi anni per superare i limiti di intellettualismo, ricadesse oggi in questo errore, basando le sue scelte solo sulla base delle tendenze che si sono manifestate fra gli studenti. E, valutando nel merito l’esperienza del movimento studentesco, essa è certamente una grande spinta in avanti, un grande fatto progressivo, ma non possiamo rilasciare in bianco un attestato di forza rivoluzionaria, perché è ancora tutto da decidere lo sbocco del movimento, il suo ruolo all’interno della lotta politica del paese.

Io credo, in conclusione, che si debba pensare ad una fase transitoria, nella quale la FGCI dovrà sperimentare se stessa, la forza delle sue idee, il valore delle sue esperienze, in un rapporto di dialogo aperto e anche di battaglia politica con tutte quelle forze giovanili che cominciano oggi a mettersi in movimento al di fuori delle organizzazioni di partito. Ma forzare i tempi e accelerare un processo di riorganizzazione potrebbe dare un risultato opposto a quello sperato.

Perché, dobbiamo essere chiari, i problemi politici restano e non possono essere scavalcati con un atto di volontà. Non possiamo ignorare come questo spostamento a sinistra delle masse giovanili avviene facendo germogliare anche posizioni di estremismo, che noi riteniamo dannose (ed è poco comprensibile che di tutto questo non si parli nella relazione del convegno di Ariccia).

Questa situazione del mondo giovanile, caratterizzata da spinte generose e da velleità ingenue, non ci deve in nessun modo portare a posizioni di chiusura difensiva, dobbiamo anzi favorire la crescita di questa spinta a sinistra e la sua maturazione. Ma, davvero, il modo migliore per ottenere questo risultato sta in una proposta affrettata di organizzazione unitaria della gioventù?

Se crediamo nella validità di una concezione pluralistica, e cioè nell’autonomia reciproca dei singoli movimenti, allora dobbiamo lasciare che le diverse forze giovanili, e studentesche in particolare, portino a compimento la loro esperienza politica, avendo come interlocutore l’organizzazione della gioventù comunista. Io credo, d’altronde, che questo atteggiamento sia più aderente alle esigenze stesse dei gruppi giovanili di sinistra, i quali sono gelosi della loro peculiarità e sono, non a torto, diffidenti nei confronti di proposte che possono apparire dettate dall’opportunismo. E, altrettanto, sono gelosi della loro peculiarità molti giovani comunisti, che sono giunti faticosamente ad impossessarsi della loro ideologia politica, e che ne vogliono sperimentare in modo autonomo il rendimento politico.

Certamente, queste diffidenze e gelosie reciproche possono essere superate, ma solo nel chiarimento politico, nello scioglimento dei molteplici nodi teorici, nella definizione rigorosa di una strategia unitaria. Tutto questo è possibile, a questo dobbiamo lavorare con rinnovato impegno di ricerca e di elaborazione. Ma è difficilmente proponibile il processo inverso: prima uniamoci, e poi discutiamo. A meno che si ritengano già chiariti i problemi di strategia, già esistente una comune piattaforma politica, il che si può sostenere solo alla condizione di sottovalutare gravemente le posizioni di estremismo, le quali assumono come loro punto di partenza una divergenza di sostanza con tutta l’elaborazione del movimento comunista.

L’estremismo, è vero, non è il tratto più saliente, ma è pur sempre un fenomeno, di cui bisogna tener conto come di cosa reale, e con il quale bisogna ingaggiare una seria battaglia politica.

E allora, come rinnovare la FGCI? Io credo che la FGCI abbia in se stessa sufficienti energie per camminare sulla strada del rinnovamento senza dover ricorrere ad iniezioni esterne; purché si abbia la capacità di guardare con maggiore prontezza al nuovo che cresce, di collegarsi con tutte le forze vive della realtà giovanile, e di esercitare, all’interno dell’organizzazione, un’attenta e costante autocritica collettiva.

La FGCI può svolgete ancora, per un tratto di tempo non breve, una funzione non secondaria, non solo come apprendistato politico per il Partito, ma come strumento di lotta nell’ambito del movimento giovanile. Può mantenere questa funzione, continuando ad essere un’organizzazione comunista, senza che da ciò debba derivare un’illegittima presunzione di egemonia concessa per grazia divina, o un altrettanto illegittimo senso di inferiorità o di angoscia di fronte a quanto di diverso, di estraneo alla nostra tradizione, si va manifestando nel campo, così ricco di idee e così difficile da coltivare, della lotta politica.


Numero progressivo: G91
Busta: 7
Estremi cronologici: 1968, 8 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Nuova generazione”, 8 settembre 1968