[AUTONOMIA, UNITÀ E DEMOCRAZIA]

Congresso della Camera del Lavoro di Milano

Intervento di Riccardo Terzi

Siamo tutti consapevoli della grande portata che assume la sfida politica con la destra, non solo sul terreno sociale, ma anche su quello democratico e istituzionale. Ciò che sempre più prende forma è un disegno di eversione, di rottura del patto costituzionale, e dobbiamo quindi saper fronteggiare una situazione di emergenza democratica. Ma forse non sono altrettanto chiare le condizioni strategiche che sono necessarie per vincere questa sfida.

La strategia è, in sostanza, accumulazione di forza, e per il sindacato la forza è nella sua rappresentanza sociale e nella sua capacità di parlare al paese.

Tutto ciò dipende dai tre grandi nodi, tutt’ora irrisolti, dell’autonomia, dell’unità e della democrazia sindacale. Si tratta ora di riattualizzare questi principi, di farli rivivere nel nuovo contesto, di farne un punto di forza nelle nuove battaglie politiche. Rischiamo altrimenti di andare allo scontro in ordine sparso, senza l’attrezzatura necessaria per reggere una battaglia di lunga durata.

Le tre condizioni (autonomia, unità e democrazia) sono tra loro strettamente legate: o stanno tutte insieme, o si perdono per strada.

L’autonomia è oggi messa a rischio dalla ristrutturazione del sistema politico in senso bipolare e dalla tendenza che ne deriva verso nuove forme di collateralismo strisciante. Sul sindacato si esercita una forte pressione politica perché esso si collochi dentro uno schieramento, dentro un campo politico, accettando di quel campo le regole e le priorità.

La CGIL è al riparo da questa pressione? Francamente non credo. Il nostro rapporto con la politica continua ad essere un punto di sofferenza e di ambiguità. C’è stata troppa contiguità e sovrapposizione tra il congresso della CGIL e il congresso dei DS, e il nostro stesso pluralismo interno è sempre più modellato sul sistema dei partiti e delle correnti di partito.

L’autonomia – è chiaro – non è indifferenza alla politica, ma è l’ambizione di rappresentare qualcosa di più di un segmento della sinistra, di rappresentare cioè il lavoro nella globalità delle sue espressioni, come fatto sociale il quale incide come tale nella vicenda politica, per le domande che esprime e non per le ideologie politiche che lo attraversano.

Il sindacato incrocia la politica, ma non si lascia racchiudere nella politica.

L’offuscamento dell’autonomia ha trascinato con sé, necessariamente, la crisi dell’unità. C’è stato in questi anni un grave arretramento fino a configurare una vera e propria crisi organica, e non penso di poter dire che è solo responsabilità degli altri.

In questo congresso si sono aperti degli spiragli importanti, con gli interventi di Maria Grazia Fabrizio e di Amedeo Giuliani, con la loro apertura alle proposte contenute nella relazione di Panzeri per un rilancio della costituente unitaria. Sono spiragli che dobbiamo assolutamente prendere sul serio, per svilupparli e per far ripartire da Milano una forte spinta unitaria.

L’unità è possibile se c’è legittimazione reciproca, ascolto, riconoscimento delle diversità, e se c’è uno sforzo continuo e paziente di integrazione e di sintesi. Ed è possibile se si affronta il terzo nodo: le regole democratiche, chi decide e come si decide, il ruolo delle RSU e il rapporto con l’insieme dei lavoratori, l’intreccio tra democrazia delegata e democrazia diretta.

Anch’io penso che sia necessario avviare ad una legge sulla rappresentanza. Ma lo sbocco legislativo deve essere preparato da un’intesa sindacale, anche parziale, in assenza della quale qualsiasi soluzione politica viene compromessa. La legge non è l’inizio, ma il punto d’arrivo di un processo da costruire.

Se vogliamo che il sindacalismo confederale sia riconosciuto come un attore decisivo del processo di concertazione sociale dobbiamo avere le carte in regola sul terreno della democraticità delle nostre procedure decisionali. Nel momento in cui la concertazione viene messa in crisi, essa può essere rilanciata solo da un movimento sindacale che affronta e risolve il problema della democrazia, che rende chiaro chi rappresenta e come si certifica il consenso. Chi vuole la concertazione non può non volere, insieme, la formalizzazione delle regole democratiche.

Questi tre nodi stanno dunque insieme, e insieme dobbiamo affrontarli, come elementi di un’unica strategia.

Ma è possibile questo progetto, è possibile riattualizzare l’idea della costituente per l’unità, se guardiamo non alle nostre identità passate, ma al futuro, se ci poniamo cioè il problema di un sindacato che sappia rappresentare la società che cambia: le nuove figure sociali, le nuove soggettività nel passaggio alla società post-fordista, i nuovi temi e le nuove contraddizioni del mondo globalizzato. Le nostre appartenenze e le nostre identità storiche sono solo un punto di partenza, e non debbono divenire un freno, un ostacolo a capire il futuro.

Oggi c’è una forza d’inerzia che ci spinge a ripercorrere le strade già conosciute, e a trovare la nostra identità in una tradizione più che in una ricerca aperta verso il nuovo. Ma l’unità sindacale non può che essere il campo dell’innovazione, della ricerca, del superamento delle vecchie identità. L’unità non è l’assemblaggio di ciò che c’è, ma è la costruzione di un sindacato rinnovato.

E in questa esplorazione del nuovo l’autonomia è essenziale, perché la politica non ci aiuta, non ci offre delle risposte adeguate, ma è essa stessa in grave ritardo, e c’è tutto un universo sociale senza rappresentanza politica.

Ciò è evidente a Milano e nel nord, dove la destra può vincere proprio perché c’è una società senza rappresentanza, c’è un vuoto sociale che non abbiamo saputo riempire e organizzare. Sta a noi costruire una proposta, che sia alternativa all’ azione del governo e al suo disegno di destrutturazione dei diritti sociali.

Questo è oggi il tema: quali diritti, quale welfare, non in una posizione solo di difesa, ma con un progetto che parla alla società del futuro e che dà voce ai soggetti che non hanno voce, voce politica, e non solo assistenza, diritti e organizzazione, spazio democratico, facendo così del sindacato un elemento essenziale di un processo di democratizzazione del paese. In questo senso, in quanto ci poniamo un problema di effettiva partecipazione democratica, non possiamo che andare contro corrente, contro la corrente del restringimento oligarchico che oggi attraversa tutta la vita politica italiana.

Il congresso della CGIL deve essere questo: un momento di rilancio.

In una fase di crisi, non basta la politica dei piccoli passi, e la prudenza finisce per essere una scelta avventata. Serve la forza di una nuova prospettiva. Da questo punto di vista, dobbiamo cercare di liberarci della forza d’inerzia, dello spirito di routine, per cui ripetiamo all’infinito sempre la medesima discussione, con gli stessi inamovibili schieramenti interni, mentre, fuori di noi, il mondo sta cambiando vorticosamente.

Milano può dare un contributo se ha il coraggio dell’innovazione, se ci mettiamo seriamente a ripensare alle politiche contrattuali e se riusciamo a fare i conti fino in fondo con il nuovo ordinamento federalista dello Stato.

Questa deve essere la costituente unitaria: una grande discussione democratica e di massa sul futuro del sindacato. E Milano sarà, come sempre, un banco di prova decisivo.


Numero progressivo: A29
Busta: 1
Estremi cronologici: [2001-2002?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -